mercoledì 20 marzo 2024

Metodo di Bella: Funziona




Nelle ultime settimane il metodo Di Bella (Mdb) è rientrato nel dibattito pubblico. 

E’ tornato agli onori delle cronache perché un giudice leccese ha ordinato all’Asl locale il rimborso delle spese sostenute da una paziente per curarsi con il controverso metodo, si tratterebbe di circa 25mila euro, oltre alla somministrazione gratuita della terapia.
In questi giorni, inoltre, la Società italiana di farmacologia ha preso posizione sulle wonder therapies” come i metodi Di Bella e Stamina, evidenziando come abbiano trovato “terreno fertile nella pressione emotiva dell’opinione pubblica e nel veicolo mediatico”.
Secondo la Società, inoltre, i due trattamenti sarebbero legati da“una comune metodologia che consiste nel sottrarsi al vaglio di sperimentazioni cliniche rigorose e verificabili”.
A riaccendere i riflettori dell’ente su Di Bella è stato il disegno di legge depositato all’Assemblea regionale siciliana che prevede lo stanziamento di 5 milioni di euro (sull’esercizio finanziario del 2013) a sostegno dei malati oncologici che facciano uso del metodo messo a punto dal medico catanese.

CHE COS’È

La multiterapia Di Bella è un composto di somatostatina,
bromocriptina, ciclofosfamide, melatonina e alcune vitamine (E, C, D oltre a uno sciroppo di retinoidi). Poiché un punto di forza del Mdb è la personalizzazione, dosaggi e componenti possono subire variazioni in base al paziente (un elenco completo degli ingredienti si può trovare nell’apposita sezione del sito curato dai figli di Di Bella).
Alcuni dei farmaci citati erano già parzialmente utilizzati nelle terapie anti-cancro. La ciclofosfamide, per esempio, è unchemioterapico, mentre la somatostatina – un ormone – viene usata con buoni risultati per il trattamento dei tumori neuroendocrini (una forma abbastanza rara), dell’intestino e del pancreas.
Tuttavia, né allora né adesso esistono studi che dimostrino che il mix di questi farmaci provochi miglioramenti significativi nelle persone colpite dal cancro. Le numerose pubblicazioni citate negli anni dai Di Bella (Luigi era infatti spesso accompagnato e consigliato dai figli Giuseppe, anch’egli medico, e Adolfo) riguardano singoli principi attivi oppure parlano genericamente di cure anticancro. Alcuni paper scritti direttamente dai Di Bella sono stati pubblicati su Neuroendocrinology Letters, rivista abassissimo impact factor e dove Giuseppe Di Bella compare nelboard editoriale.

LA STORIA

Nel caso del metodo Di Bella, a differenza di Stamina, che ancora arranca, fu avviata una sperimentazione nazionale. Era il gennaio 1998 e l’allora ministro della Sanità Rosy Bindi – spinta anche da un’opinione pubblica spaccata e in cerca di risposte – acconsentì a testare la validità della terapia a spese dello Stato.
Per capire il perché di tanta attenzione – popolare e mediatica – per un medico, fino ad allora sconosciuto, originario di Catania ma che esercitava a Modena, occorre fare un passo indietro.
Il 17 e il 18 luglio del 1997 si tenne un incontro in un hotel romano promosso dall’Associazione italiana famiglie contro il cancro (Aifc) e dall’Associazione italiana assistenza malati neoplastici (Aian). L’evento, dal titolo Cancro: aspetti vecchi e nuovi di terapiafu ampliamente pubblicizzato attraverso l’acquisto di pagine sui principali quotidiani nazionali. Il relatore era il professor Luigi Di Bella.

Qualche mese dopo – era il 16 dicembre ’97 – il pretore di Maglie, un piccolo comune nel leccese, con un provvedimento d’urgenza impose all’Asl locale di sobbarcarsi le spese per la fornitura gratuita dei farmaci del metodo Di Bella a un bambino affetto da tumore al cervello. La notizia rimbalzò su tutti i media nazionali e il fisiologo modenese, con il suo aspetto dimesso, i toni pacati e la candida massa capelli bianchi iniziò a essere molto richiesto per interviste e trasmissioni televisive. In poco meno di un anno (dal 16 dicembre 1997 al 25 novembre 1998), i quattro principali quotidiani italiani (Corriere della sera, Il Giornale, La Stampa, la Repubblica e Il Secolo d’Italia) dedicarono complessivamente 305 articoli al caso Di Bella.
Il professore ottantacinquenne sosteneva l’efficacia della terapia sulla base di dati in suo possesso: il metodo avrebbe avuto percentuali di successo molto elevate, laddove la medicina tradizionale non poteva fare nulla, cioè sui malati di tumore, di qualsiasi tipo e in fase avanzata. Tuttavia, fin da subito la comunità scientifica si espresse in modo duro, bocciandola piùv olte tra il ’96 e il ’97. Espressero parere contrario per “mancanza di fondamento scientifico”, tra gli altri, la Commissione oncologica nazionale, la Commissione unica del farmaco e il Consiglio superiore di sanità.

LA SPERIMENTAZIONE

La vicenda fu vissuta come una contrapposizione tra le istituzioni scientifiche e un medico-eroe dalle grandi potenzialità che non poteva esprimersi appieno.
Sull’onda mediatica, il ministro Bindi chiese almeno cento cartelle cliniche dei pazienti già in cura, in modo da poter verificare se sussistessero le condizioni per avviare una sperimentazione. Iniziò un tira e molla tra ministero e Di Bella per ottenere ladocumentazione. L’argomentazione utilizzata per ritardare la consegna era la mancanza di fiducia nelle istituzioni che avrebbero dovuto esaminarle.
Nel frattempo – siamo tra la fine del ’97 e l’inizio del ’98 – regnava il caos: alcune regioni come Puglia e Lombardia decisero di somministrare gratuitamente la somatostatina, la (costosissima) componente principale del metodo Di Bella. Altre ne fecero richiesta e aumentano i casi di giudici che concessero gratuitamente la cura a singoli malati.
Durante il mese di gennaio 1998 il Parlamento approvò la sperimentazione nonostante mancassero le cartelle cliniche richieste 
e decise che la Commissione che avrebbe dovuto occuparsi della stesura dei protocolli sarebbe stata composta da membri della Commissione unica del farmaco (Cuf), della Commissione oncologica nazionale, da Di Bella e dal figlio Giuseppe. Il coordinamento del gruppo fu affidato a Umberto Veronesi e Renzo Tomatis.
Nei successivi incontri fu definita nei dettagli la sperimentazione: ci sarebbero stati nove protocolli (destinati a diventare undici) per altrettanti tumori e sarebbero stati coinvolti 2.600 pazienti (dei quali 600 sperimentali, cioè utili per valutare l’attività anti-tumorale del trattamento e 2.000 per uno studio osservazionale, con l’obiettivo di studiare la sopravvivenza dei pazienti sottoposti al Mdb) in 21 istituti di ricerca in tutta Italia. Si discussero anche farmaci e dosaggi. Affinché la sperimentazione fosse ritenuta valida, infatti, dovevano essere seguite alla lettera le preparazioni indicate da Di Bella, che ebbe l’onere di convalidare personalmente i documenti contenenti queste informazioni. 

Si concordò che i composti sarebbero stati preparati all’Istituto chimico-farmaceutico militare di Firenze. In questo modo sarebbe stata possibile una standardizzazione del prodotto, altrimenti fornito da farmacie di fiducia di Di Bella.
Quando la sperimentazione partì per davvero era il mese di marzo e i pazienti inclusi furono 1.155, di cui 386 sperimentali e 769 osservazionali. Fu lo stesso Veronesi, rispondendo a un’interrogazione parlamentare un paio d’anni dopo a entrare nel dettaglio dei risultati: “non emerge alcuna evidenza che il trattamento Mdb sia dotato di una qualche attività anti-tumorale di interesse clinico [...]. In nessuno dei 1.155 pazienti inclusi nella sperimentazione si è osservata una risposta obiettiva completa (scomparsa delle masse tumorali); una risposta obiettiva parziale (riduzione di almeno il 50% delle lesioni tumorali), si è osservata in soli 3 (0,8%) dei 386 pazienti inclusi negli studi sperimentali. A oggi di questi 3 pazienti [...] due sono deceduti ed il terzo è in fase di progressione della malattia. La quasi totale assenza di risposte obiettive nello studio sperimentale propriamente detto è stato confermato negli studi osservazionali nei quali solo in 5 (0,7%) dei 769 pazienti inclusi, i centri partecipanti hanno segnalato la presenza di una risposta obiettiva di tipo parziale . 
A circa un anno dall’inizio della sperimentazione escludendo dall’analisi i pazienti in fase terminale si sono osservati 466 decessi su 660 pazienti (71%) degli studi sperimentali e osservazionali”.

I risultati sperimentali dei diversi protocolli furono resi noti a luglio e novembre 1998 e vennero pubblicati sulla rivista British Medical Journal. Quelli osservazionali sono disponibili in un rapporto dell’Istituto superiore di sanità. Il verdetto fu netto: la terapia Di Bella non solo non salvava nessuno, ma i malati morivano addirittura prima di quelli trattati con rimedi tradizionali.
Nel giugno del ’98, inoltre, Di Bella accettò di aprire gli archivi con le cartelle cliniche dei pazienti da lui trattati dagli anni ’70 al 1997. Furono trovate 3.076 cartelle (e non le 20.000 di cui parlava nei talk show), di cui solamente 248 analizzabili. Questo perché molte erano senza diagnosi, oppure accertavano la presenza di malattie non tumorali o ancora non riportavano nessuna indicazione sull’utilizzo del Mdb.
A distanza di due anni dall’inizio del trattamento, solo una persona su 248 era ancora viva. Inoltre, solamente quattro avevano effettuato unicamente la terapia Di Bella. Dopo 48 mesi, nessuno di loro era sopravvissuto.
I risultati dell’analisi furono dunque simili a quelli della sperimentazione: il Mdb non provoca nessun miglioramento e ha effetti collaterali.
Critiche alla sperimentazione
Durante e dopo la sperimentazione ci furono violente critiche da parte dei Di Bella e di alcune associazioni di pazienti. Le questioni contestate si possono riassumere in tre punti.

1) Mancanza di randomizzazione e gruppo di controllo. La critica – sollevata anche dal British Medical Journal, che ha innescato un dibattito – riguarda la rappresentatività del campione e l’assenza di pazienti trattati con placebo da confrontare con quelli cui era stato somministrato il Mdb.

2) Farmaci scaduti: un’ispezione dei Nas in ospedale e all’istituto chimico-militare di Firenze dove erano preparati i farmaci confermò che molte confezioni erano state conservate ben oltre i tre mesi previsti dalla data stampata sulla scatola e ipotizzò che almeno un migliaio di pazienti avessero assunto farmaci non conformi. A questo proposito il pretore torinese Raffaele Guariniello aprì un’inchiesta che passò – per competenza territoriale – alla Procura di Firenze. Nel 2000, alla vigilia dell’archiviazione da parte del giudice fiorentino Ubaldo Nannucci, Guariniello renderà pubbliche le sue conclusioni, risalenti a otto mesi prima: i farmaci sarebbero stati scaduti e i dosaggi non conformi con le indicazioni del professore modenese. Nannucci procederà comunque con l’archiviazione.

3) Presenza di acetone: il composto – tossico e cancerogeno a detta dei Di Bella – fu trovato nei flaconi contenenti i retinoidi, una componente del trattamento. I Di Bella sostenettero che nella terapia da loro somministrata l’acetone era assente.

LE REPLICHE

Le risposte alle critiche non tardarono ad arrivare. Riguardo alla mancanza di randomizzazione e di gruppo di controllo, fu osservato come queste misure fossero non necessarie, trattandosi di una fase II (quel momento della sperimentazione dove si cerca di capire se il trattamento è efficace sull’uomo). Inoltre i tempi stretti, i costi elevati e la difficoltà di reclutamento giustificherebbero – secondo il ministero – le scelte effettuate.
Sui farmaci scaduti il ministero della Sanità rispose che Di Bella aveva assicurato che, se conservati al buio e lontano da fonti di calore, il composto galenico (cioè preparato in farmacia, non in modo industriale) sarebbe rimasto stabile. In sede di firma dei protocolli di sperimentazione, inoltre, il medico non indicò mai una possibile data di scadenza poiché – sostiene ancora il ministero – i retinoidi non ne hanno una. Tuttavia per legge tutti i farmaci devono riportarla, quindi si fece una valutazione non vincolante con l’azienda produttrice.
Una risposta simile riguarda la presenza di acetone: Di Bella ha sempre visionato i protocolli prima di firmarli e non ha sollevato perplessità sul composto, presente peraltro in quantità molto inferiori al limite consentito, pari a 5.000 mg/l. Nei flaconi dove si è trovato più acetone la dose era di 850 mg/l.

IL METODO DI BELLA OGGI 

Oggi il Mdb viene prescritto seppur non sia riconosciuto dal Sistema sanitario nazionale. I figli di Di Bella infatti portano avanti la terapia del padre e dal 2011 hanno aperto un sito con tutte le indicazioni (a loro avviso) utili per avvalersi del metodo. Ovviamente chi decide di rivolgersi a loro deve sostenere di tasca propria il costo della terapia.
Negli anni, di tanto in tanto, un giudice ha concesso gratuitamente i farmaci necessari (l’ultimo è il caso citato all’inizio e avvenuto qualche giorno fa in Puglia) ad alcuni pazienti, giustificando la decisione con il fatto che la medicina tradizionale non abbia saputo curare in modo adeguato la malattia, mentre la terapia Di Bella produrrebbe benefici. Peccato che la scienza non li abbia ancora dimostrati.


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