Nel 1999, la Nato bombardò le apparecchiature di trasmissione televisiva della Jugoslavia, accusandole di essere "macchine della menzogna", uccidendo 16 persone.
In realtà ciò avveniva per evitare la smentita delle notizie menzognere che venivano date in Occidente. Si trattava di impedire che la Jugoslavia fornisse la sua versione dei fatti, assai diversa da quella che veniva riferita dai nostri media.
Dalla fine del 1989, la Cnn e altre Tv occidentali, mandavano in onda con frequenza filmati di presunte stragi di civili attuate dai serbi. Venivano trasmesse diverse parti del filmato, che mostravano cadaveri accatastati. Le parti sempre diverse dello stesso filmato davano l'idea che i serbi stessero attuando un genocidio, e inducevano a credere che la Nato dovesse intervenire per impedirlo.
I giornalisti occidentali ripetevano acriticamente le notizie che arrivavano dalle agenzie. Il nuovo Hitler era Slobodan Milosevic, e si doveva credere nell'umanità e nell'altruismo delle autorità dei governi dei paesi della Nato, come fossero filantropi disinteressati. Giornali come il Wall Street Journal e il New York Times scrivevano che "il regime di Milosevic stava tentando di sradicare un intero popolo".[1]
In realtà, Milosevic, assediato dalle forze militari delle autorità occidentali, aveva presentato due possibili piani di pace, per evitare ulteriori distruzioni. Egli aveva comunicato che : (sebbene) "il Parlamento serbo non avesse accettato la presenza di forze militari straniere in Kosovo e Metohjia"[2] intendeva discutere un accordo politico sull'autogoverno nella regione del Kosovo. I tentativi di pace della Repubblica Federale Jugoslava passarono sotto silenzio e venne propagandata la realtà opposta. I giornali occidentali, come il New York Times scrivevano: "il rifiuto di Milosevich di accettare o addirittura discutere un piano di pace internazionale (l'accordo di Rambouillet) è il fattore che ha fatto scattare i bombardamenti Nato del 24 marzo".
Le autorità europee e statunitensi avevano imposto a Milosevic i negoziati di Rambouillet, in cui si proponevano condizioni inaccettabili, per scatenare la guerra. Si imponeva l'occupazione militare della Nato sulla Federazione Serba. Lo stesso Henry Kissinger dichiarò che: "Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe Nato in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento. Rambouillet non è un documento che un Serbo angelico avrebbe potuto accettare. Era un pessimo documento diplomatico che non avrebbe dovuto essere presentato in quella forma".[3] La conferenza di Rambouillet iniziò il 6 febbraio 1999 e si concluse il 23 febbraio. Venne riaperta il 15 marzo a Parigi e si chiuse il 18 marzo con la sola firma della delegazione kosovara albanese.
Dal 24 marzo le forze aeree della Nato, comandate dagli Usa, iniziarono a distruggere la Repubblica Federale Jugoslava. Il 3 giugno Milosevic si arrese. L'intervento Nato veniva giustificato con la presunta esistenza di profughi kosovari che fuggivano dai serbi. Ma in realtà, come spiega Noam Chomsky:
L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) ha dato notizia dei primi profughi recensiti fuori dal Kosovo (quattromila) il 27 marzo, tre giorni dopo l'inizio dei bombardamenti. Il loro numero non ha fatto che crescere fino al 4 giugno, raggiungendo un totale valutato intorno alle 670 mila unità nei paesi confinanti (Albania e Macedonia), a cui si aggiungono 70 mila profughi nel Montenegro (all'interno della RFY) e 75 mila rifugiati in altri paesi. Queste cifre, purtroppo ben note, non tengono conto delle migliaia di persone disperse all'interno del Kosovo: due o trecento mila secondo la Nato prima dei bombardamenti, molte di più dopo. E' indiscutibile che la "grande guerra aerea" ha fatto precipitare la situazione in una drammatica escalation di pulizia etnica e altre atrocità.[4]
Per 78 giorni la Nato mise a ferro e fuoco il Kosovo. Il presunto genocidio dei serbi faceva apparire l'intervento Nato come provvidenziale per fermare i crimini dei serbi, e permetteva che si commettessero impunemente una serie di crimini contro i civili kosovari e serbi.
I serbi subirono almeno 600 raid aerei al giorno. Il numero delle vittime civili fu enorme. Morirono almeno 250.000 serbi e albanesi.
Si prometteva di colpire "esclusivamente obiettivi militari", come affermavano rassicuranti il comandate in capo Nato Havier Solana e il generale americano Wesley Clark. Ma la realtà era assai diversa. Saranno bombardate le emittenti Tv e le centrali elettriche, oltre a numerosi agglomerati civili. Lo stesso presidente francese Jacques Chirac rivolgerà un messaggio sarcastico al generale americano: "bisogna ringraziarlo (Clark) per il fatto che sul Danubio c'è ancora un ponte integro".[5]
Le operazioni della Nato contro la Jugoslavia videro diversi scontri e divergenze interne ai paesi della Nato. In particolare, i tedeschi si scontrarono più volte con gli americani. La Nato sarebbe entrata in crisi se, nel giugno del 1999, Milosevic non si fosse arreso. In una trasmissione della Bbc, il diplomatico americano Strobe Talbott disse che se Milosevic non si fosse ritirato dal Kosovo "avremmo proseguito con i bombardamenti. Sarebbe stato sempre più difficile governare le tensioni nei rapporti tra la NATO e la Russia. Ritengo che per gli alleati sarebbe stato sempre più difficile anche solo conservare la reciproca solidarietà e la decisione nell'agire. Non penso che sarebbe stato possibile, in tal caso, risolvere il problema in alcuni giorni e ritengo una fortuna che il conflitto sia terminato nel modo che abbiamo visto e nelle condizioni che abbiamo visto".[6]
Secondo Talbott, ci poteva essere uno scontro fra le truppe russe e le forze Nato. Gli statunitensi furono molto innervositi per la presa di controllo dei russi a Pristina, e le cose sarebbero potute precipitare. Osserva Talbott: "Non vedo a chi avrebbe potuto portare qualcosa di buono, con la possibile eccezione del presidente Milosevic, che probabilmente ha riso di cuore guardando la scena da Belgrado".[7]
Dopo l'occupazione del Kosovo, le divisioni fra paesi Nato riguardarono il futuro assetto del paese. Gli Usa volevano l'indipendenza degli albanesi, mentre la Germania e la Francia erano contrarie.
I generali americani faticarono ad imporre la loro linea di azione, basata sui bombardamenti e le distruzioni indiscriminate. Per questi contrasti, le autorità Usa, negli ultimi anni, hanno potenziato l'esercito dell'Onu, che oltre ad avere il vantaggio di apparire come "esercito di pace", permette agli americani di imporre la loro linea di azione crudele e altamente distruttiva.
Il ministro degli esteri di Cuba, Felipe Perez Roque, aveva capito chi davvero stava commettendo un genocidio. Il 2 giugno del 1999, dichiarò che la Nato stava commettendo "un vero genocidio da punire in modo esemplare" e che "il Segretario Solana dovrebbe essere processato da un Tribunale internazionale come criminale di guerra in rappresentanza di tutti i colpevoli".[8]
I capi di governo dei paesi aggressori, Bill Clinton, Gerhard Schroeder, Tony Blair e altri, utilizzarono i media per convincere che si trattava di una guerra con finalità umanitarie, nascondendo i propri crimini e mettendo in evidenza il presunto genocidio serbo. Si gridava che i morti sarebbero stati 100.000, poi salirono addirittura a 500.000. Ad alcune persone venne dato l'incarico di trovare le fosse comuni, perché questi morti nessuno li aveva visti.
La propaganda occidentale riproponeva il mito della "guerra giusta" contro il nemico malvagio. Le notizie erano martellanti e al tempo incongruenti. Le stime della persone uccise dalla Nato non venivano date (come accade anche oggi) e si rivendicava come giusta un'aggressione brutale attuata in spregio al diritto internazionale.
La guerra era stata scatenata dai bombardamenti Nato e, prima ancora, dalla formazione dell'Uck, un gruppo di combattenti collegato alla Nato, che era stato assoldato per fare in modo che i serbi entrassero in guerra. Occorreva che la Serbia intervenisse nel Kosovo, cosicché la Nato potesse giustificare i bombardamenti e i massacri contro i civili.
Dagli anni Novanta, le politiche dei paesi della Nato avevano provocato la disintegrazione della Jugoslavia e fomentato gli odi etnici. Già alla fine degli anni Ottanta, la Germania e gli Stati Uniti avevano diffuso l'idea propagandistica di "proteggere le minoranze", ma si trattava in realtà di mettere le etnie le une contro le altre.
Le notizie che venivano date in Occidente provocavano stupore e raccapriccio, e non si capiva perché, dopo tanti anni, le etnie della Jugoslavia stessero lottando fra loro in maniera così feroce, e come mai la Serbia fosse diventata improvvisamente così malvagia da voler sterminare intere etnie.
Dopo l'aggressione, il Kosovo diventò di proprietà della Nato, in particolare delle autorità americane, che avevano organizzato e diretto l'intera operazione. Le gigantografie del ritratto di Clinton sorridente erano state affisse praticamente ovunque, ad indicare chi sarebbe stato la nuova autorità.
L'attacco al Kosovo era il capitolo finale della devastazione che la Jugoslavia subiva dall'inizio degli anni Novanta. La destabilizzazione aveva preso inizio quando, nel corso degli anni Ottanta, la Repubblica Federativa e Socialista di Jugoslavia (RFSJ) subì fortissime pressioni dal Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Nel 1990, il premier Mihailo Markovic cedette alle pressioni ma ottenne effetti molto negativi. La popolazione, impoverita, si oppose ad ulteriori riforme di tipo neoliberistico. Le potenze occidentali tentarono la carta dei micronazionalismi. Finanziarono i gruppi nazionalisti per creare scontri fra questi gruppi e le politiche centralistiche dei socialisti serbi. Se non potevano piegare il governo jugoslavo, allora gli mettevano contro le rivendicazioni autonomiste di alcune regioni, per scatenare la guerra e ottenere la dissoluzione del paese. Venne erogato molto denaro alle regioni secessioniste. Nell'ottobre del 1990, la Croazia ottenne dal Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) due miliardi di dollari.
Il 5 novembre del 1990, il Congresso americano approvò la legge 101/513, che decretava la dissoluzione della Jugoslavia mediante il finanziamento diretto di diverse formazioni nazionaliste e secessioniste.[9] Nello stesso mese, venne redatto un rapporto della Cia che prevedeva la dissoluzione della Jugoslavia nel giro di pochi mesi.
Le potenze occidentali assoldarono gruppi armati per seminare divisioni e terrore. Iniziarono a risvegliare gli odi etnici e crearono situazioni di scontro fra i diversi gruppi.
I media occidentali davano notizie false o esagerate sulle operazioni serbe contro questi gruppi. Ad esempio nel giugno 1991, venne data la falsa notizia del bombardamento di Ljubljana. Soltanto anni dopo, l'allora Ministro degli Esteri italiano Gianni De Michelis confesserà alla rivista Limes che effettivamente c'era una campagna disinformativa, senza precisare da chi partisse.
L'esercito serbo appariva nei media crudele e criminale. Non si faceva menzione del progetto americano di distruzione della Jugoslavia, e dei gruppi armati assoldati dall'Occidente.
Dal dicembre 1991, venne applicato alla Jugoslavia il vecchio principio divide et impera. Dividere la Jugoslavia risultava l'unico modo per controllarla.
La Croazia e la Slovenia , regioni industrializzate e con un tenore di vita più alto, credevano che l'autonomia li avrebbe rese più ricche, ma in realtà la guerra preparata da Washington aveva lo scopo di distruggere economicamente e politicamente tutte le regioni della ex Jugoslavia. Ciò era stato dichiarato dallo stesso Vicepresidente della Banca Mondiale, Willi Wapenhans: "Secondo la nostra opinione non sussiste alcun dubbio sul fatto che nessuna delle parti componenti la Jugoslavia trarrà profitto dallo sfascio della Jugoslavia o della sua economia nel breve e medio periodo".[10]
L'8 luglio del 1991, la Slovenia venne riconosciuta indipendente. Nel dicembre dello stesso anno, la Croazia proclamò la sua indipendenza, immediatamente riconosciuta dalle autorità occidentali. Nel febbraio del 1992, la Bosnia ottenne l'indipendenza dopo un referendum.
Il 7-8 aprile 1992, i serbi formarono la Repubblica Serba di Bosnia, che comprenderà i territori a maggioranza serba (il 65% del territorio). Il 27 aprile 1992, Serbia e Montenegro costituirono la nuova Federazione Jugoslava.
Per scatenare l'opinione pubblica contro i serbi, le autorità occidentali organizzarono diverse azioni terroristiche. Ad esempio, il 27 maggio del 1992, avvenne una strage a Sarajevo. Alcune persone in fila per il pane vennero uccise da un colpo di mortaio. Si trovavano già lì le telecamere pronte a filmare il fatto e a trasmetterlo nei media occidentali, per dare ad intendere che i serbi erano criminali senza pietà. Ciò sarebbe servito a fare in modo che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu approvasse una risoluzione di condanna contro la Jugoslavia , e la risoluzione n. 757, che imponeva sanzioni economiche contro la Federazione Jugoslava.
Dopo qualche tempo si saprà che i responsabili della strage di Sarajevo e di altri crimini erano i gruppi dell'estremismo musulmano formati e finanziati da Washington.
Dal luglio del 1992, le autorità Usa iniziarono una serie di strategie per rovesciare il governo della Repubblica Federale di Jugoslavia. Tentarono di insediare Milan Panic, che prese soltanto il 34% dei voti, mentre Slobodan Milosevic vinse con il 56%. Salito al potere Bill Clinton, iniziarono le operazioni militari. Nel dicembre del 1992, il "Defence and Foreign Affairs Strategic Policy" fece un elenco delle armi leggere e pesanti (60 panzer) date alla Croazia da parte tedesca.
Le autorità occidentali, attraverso i servizi segreti, organizzarono altri attentati terroristici a Sarajevo. Il 5 febbraio 1994 organizzarono una prima strage a Markale, la piazza del mercato di Sarajevo. La seconda avverrà il 28 agosto 1995.
Nel 1995, arrivarono in Jugoslavia 60.000 uomini delle truppe di terra della Nato, con carri armati e artiglieria, che si aggiungevano agli altri già impegnati nei paesi limitrofi, per un totale di 200.000 uomini. La propaganda diceva che si doveva "stabilizzare", ma in realtà il motivo era l'opposto: "destabilizzare" e far crollare la Repubblica Federale Jugoslava.
L'Italia dette l'autorizzazione alla Nato a far partire i bombardieri da Aviano (Friuli-Venezia Giulia) e da altri basi. Il governo D'Alema, pur sapendo che si trattava di un intervento militare offensivo, autorizzò l'uso dello spazio aereo italiano, e partecipò all'occupazione del Kosovo a partire dal 12 giugno 1999, con un contingente di 2.287 uomini della Brigata "Garibaldi".
Daniele Scaglione, presidente della sezione italiana di Amnesty International, in piena guerra, organizzò l'invio, all'allora presidente del consiglio D'Alema, di 120.000 cartoline che denunciavano i crimini contro i civili jugoslavi e chiedevano il ripristino del rispetto dei diritti umani. D'Alema non rispose.[11]
I nostri militari fanno ancora parte delle truppe d'occupazione del Kosovo. In qualità di Ministro degli Esteri, D'Alema, ancora oggi, ritiene che l'aggressione Nato sia stata fatta "per salvare i profughi e fermare la pulizia etnica di Milosevic".[12]
I gruppi terroristici assoldati dagli Usa in Kosovo furono capeggiati dal saudita Abdul Aziz, già combattente in Afghanistan, e da altri strani personaggi.[13] Il 1° maggio del 1995, le truppe croate, armate dalle autorità occidentali, invasero parte del territorio della Repubblica Serba di Krajina. Nello stesso mese le truppe musulmane attaccarono su diversi fronti. Le milizie musulmane avevano già distrutto almeno 30 villaggi serbi. Nell'agosto del 1995, l 'esercito croato attaccò le zone della Croazia sotto il controllo serbo e costrinse l'intera popolazione (170.000 persone) a fuggire. Le autorità Usa, per distruggere la Jugoslavia , utilizzarono anche milizie private del Military Professional Resources Inc.
Nel settembre del 1995, la Nato colpì i serbi di Bosnia, utilizzando anche proiettili all'uranio impoverito.
Dal 1997 venne rafforzato il movimento separatista kosovaro-albanese, per coinvolgere il Kosovo nel conflitto. Si preparò un "caso", per ingannare l'opinione pubblica occidentale. Nell'agosto del 1998, il giornalista tedesco Erich Rathfelder diffuse la falsa notizia di una strage, a Orahovac, di 567 albanesi del Kosovo, dei quali 430 erano bambini. Questa notizia doveva servire a convincere della necessità di intervento in Kosovo, per bloccare i presunti crimini serbi.
Le autorità occidentali armarono i secessionisti panalbanesi e scatenarono centinaia di attacchi terroristici, che uccisero almeno 141 persone e ne ferirono 305. Venne finanziato l'Uck (Ushtria Çlirimtare e Kosovës o Kla, Kosovo Liberation Army), un gruppo formato dai servizi segreti occidentali per innescare una guerra a bassa intensità contro la Repubblica Federale di Jugoslavia. Dal 1996, l 'Uck attuò attentati terroristici contro cittadini serbi e contro la Repubblica Jugoslava.
William Walker, noto per il caso Iran-contras e per la creazione degli squadroni della morte in Salvador, preparò uno spettacolo macabro di cadaveri ammucchiati per far vedere i "civili inermi" uccisi dai serbi. In realtà i cadaveri erano guerriglieri dell'Uck.
Le autorità occidentali organizzarono persino un falso negoziato con la delegazione albanese-kosovara, (che fu rappresentata dall'Uck). L'accordo firmato prevedeva un referendum per l'indipendenza e l'occupazione militare delle truppe Nato.
La Nato agiva per sottomettere tutte le regioni della ex Jugoslavia al nuovo assetto neoliberista, dominato dalle regole criminali del Fondo Monetario Internazionale, che mirano a rendere tutti i paesi dipendenti da un'unica élite economico-finanziaria.
Alcuni mesi dopo la fine della guerra, diversi giornalisti sollevarono la questione del presunto genocidio serbo in Kosovo. Il 20 ottobre del 1999, Paolo Soldini de L'Unità si chiedeva "quanti Kosovari di etnia albanese siano stati effettivamente uccisi dai Serbi durante la guerra" e riferiva la stima di 11.000 vittime, fatta dall'esponente dell'Onu Bernard Kouchnner. Quest'ultimo citava come fonte il Tribunale per i crimini nella ex Jugoslavia. Il Tribunale però smentiva e Soldini osservava che in Kosovo 62 agenti dell'Fbi stavano indagando e avevano trovato soltanto alcune fosse comuni con 200 cadaveri. Conclude Soldini: "in nessuno dei luoghi teatro delle presunte stragi di cui si era dato notizia durante la guerra sono stati trovati cadaveri corrispondenti all'eccidio denunciato. Il più delle volte, anzi, non è stato trovato alcun corpo... A Pusto Selo dove i morti sarebbero 106 e dove gli investigatori non hanno trovato traccia delle presunte fosse comuni riprese dagli aerei Nato e mostrate alla tv...C'è poi il caso clamoroso di lzbica, il villaggio che tutto il mondo vide nelle riprese segrete di un profugo albanese; 130 uomini uccisi, neppure un corpo trovato".
Nelle zone in cui si ebbero combattimenti dell'Uck, dopo l'intervento della Nato, furono trovati molti corpi di civili. I 78 giorni di bombardamenti della Nato hanno sicuramente ucciso migliaia di persone, anche se le stime esatte non vengono date. Si è trattato di un crimine contro la popolazione, ma soltanto l'idea di sottoporre un'indagine al Tribunale internazionale dell'Aia ha suscitato una violenta reazione del Pentagono, che si oppone fermamente alla formazione di un Tribunale Permanente Indipendente che possa indagare su soldati e comandanti americani in paesi stranieri. Gli interventi americani, anche quando attuano genocidi, sono sempre spacciati per "umanitari", e non possono essere giudicati da nessun tribunale.
Gli Usa hanno creato il Tribunale dell'Aia, per indagare soltanto sui crimini commessi dai loro nemici.
Oggi è emerso che in Jugoslavia la Nato ha commesso numerosi crimini contro la popolazione civile. Oltre ai bombardamenti a tappeto su tutto il territorio, ha utilizzato le cluster bombs e l'uranio impoverito.
I bombardamenti ad alta quota hanno provocato molti eccidi, anche di rifugiati civili durante il cammino. L'80% delle forze aeree della Nato in Jugoslavia erano americane, e nei bombardamenti non rispettarono nessuna regola di condotta militare, uccidendo indiscriminatamente molti civili.
In seguito all'occupazione da parte dell'élite occidentale (Amministrazione Onu e occupazione militare Kfor-Nato), il Kosovo è diventato un luogo senza legge, in cui i traffici illegali di droga e di esseri umani la fanno da padrone. L'eroina e la cocaina arrivano dall'Asia e dall'America Latina, e vengono diffuse in Europa. Per tenere sottomessa la popolazione sono state organizzate bande di terroristi wahabiti, come racconta lo studioso Dusan Janjic: "Potete andare al villaggio di Raskov, costruito con il denaro dell’Arabia Saudita, dove potete vedere combattenti, mujaheddin, insegnanti… come se fossimo in Afghanistan, ma di tutto questo la comunità internazionale non parla... io temo che adesso si vada verso una fase che assomiglia molto alla guerra in Afghanistan. Là hanno cacciato i russi con l’aiuto dei mujaheddin, qui cacciano i serbi e i russi con l’aiuto di cose simili e quando le cose vanno fuori controllo, poi ci si chiede dov’è Bin Laden… in Kosovo adesso si crea un nuovo Bin Laden".[14] Di tanto in tanto avvengono attentati terroristici. Gli albanesi vengono aizzati contro i serbi, per mantenere lo stato di guerra a bassa intensità e continuare l'occupazione e il saccheggio.
I governi fantoccio del Kosovo promettono lavoro, energia elettrica (che viene fornita in modo intermittente) e benessere, ma i cittadini rimangono prigionieri in un sistema criminale. I kosovari sognano di entrare nell'Unione Europea, ma viene detto loro di non essere ancora "pronti". I veri problemi, (l'economia devastata, la criminalità e l'occupazione militare) vengono insabbiati nel generico problema dell'"indipendenza" formale. Intanto fiorisce la corruzione, il mercato nero e il contrabbando. Il paese viene saccheggiato, come spiega Janjic: "L’Unione europea in Kosovo si sta comportando come l’Impero ottomano, che quando arrivò da noi prese il potere e iniziò a disporre delle proprietà della popolazione locale. I funzionari dell’UE si comportano letteralmente come occupatori che vendono le cose altrui. Non è certo un buon ingresso in UE. Perché esistono i proprietari privati, esistono paesi che hanno investito, c’è la Serbia che paga i debiti che sono stati contratti dal Kosovo, si parla di un miliardo e cinquecento milioni di dollari. Non è possibile che senza alcun documento firmato si dica che adesso tutto ciò non è valido... senza che venga avviato un vero processo di collaborazione regionale, di rinforzo della pace e della cooperazione, il Kosovo rimarrà in una sorta di virtuale fiaba balcanica, connotata da false promesse, grande povertà, enorme nervosismo e omicidi.[15]
Nel 2003, la situazione kosovara era diventata ancora più drammatica. Scriveva il Guardian del 9 settembre 2003: "A meno di trovare urgentemente come far fuoriuscire in maniera controllata la pressione che è andata aumentando in Kosovo fin dal 1999, vi è il pericolo che questo esploda ben presto".
Nel 2006 si sono svolti a Vienna i nuovi negoziati tra il governo serbo e quello kosovaro, per definire lo status della regione del Kosovo.
Nello scorso gennaio, i paesi Nato hanno approvato il piano dell'inviato speciale dell'Onu, Marrti Ahtisaari su quello che dovrà essere lo statuto del Kosovo. In base a questo piano, l'indipendenza del Kosovo sarà soltanto formale, perché rimarrà la forza d'occupazione militare della Nato. La bozza del piano dice: "La comunità internazionale avrà un ruolo di supervisione e monitoraggio ed avrà tutti i poteri necessari per garantire un'effettiva ed efficace implementazione di quest'accordo... La Nato stabilirà una presenza militare internazionale".[16]
In realtà in Kosovo non c'è alcuna condizione per una vera indipendenza. Il paese è militarmente occupato e saccheggiato.
Se, come avverte lo storico John Keegan, la distruzione della Jugoslavia è stata "una vittoria non solo della guerra aerea ma del Nuovo ordine mondiale", occorre diventare sempre più capaci di capire gli inganni dei media che ci inducono a vedere realtà che non esistono per giustificare guerre e massacri. Occorre saper capire la verità del sistema basato sul crimine e sulla guerra, per evitare di scambiare le vittime per i colpevoli. Non c'è un elemento che ci faccia sperare qualcosa di diverso per il futuro, se rimangono al potere quelle stesse persone che ci hanno ingannato in passato. Il loro metodo di inganno preferito è capovolgere la realtà, mistificarla a tal punto che soltanto il paradosso potrà rivelarla.
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