Vogliono
distruggere la famiglia tradizionale, tutto secondo il piano del Nwo.
Sfaldamento dei legami familiari ...
L’ideologia
gender non esisterebbe. Sarebbero tutte menzogne. Tutto terrorismo psicologico.
Tutte paure messe in giro da fanatici ed incompetenti.
La replica più frequente a coloro che osano discutere taluni innovativi “progetti educativi” – conformemente a collaudate prassi totalitarie, che riconducono qualsivoglia critica alla patologia – si sostanzia in un invito al ricovero ospedaliero. Se si è tuttavia abbastanza forti da sopportare quest’allergia al dissenso, risulta in realtà semplice non solo individuare il nucleo ideologico della teoria gender, ma anche le insanabili contraddizioni che la paralizzano.
Per quanto riguarda il primo aspetto – il riconoscimento dell’ideologia – è sufficiente osservare come il tentativo di combattere le discriminazioni anzitutto di matrice sessista conduca sempre più spesso al voluto equivoco secondo cui, per contrastare le diseguaglianze fra uomo e donna, occorrerebbe negare alla radice le differenze fra i sessi. Differenze che quindi, nella misura in cui fossero anche solo oggetto di semplici studio ed osservazione, diverrebbero potenziali moventi per trattamenti iniqui.
La replica più frequente a coloro che osano discutere taluni innovativi “progetti educativi” – conformemente a collaudate prassi totalitarie, che riconducono qualsivoglia critica alla patologia – si sostanzia in un invito al ricovero ospedaliero. Se si è tuttavia abbastanza forti da sopportare quest’allergia al dissenso, risulta in realtà semplice non solo individuare il nucleo ideologico della teoria gender, ma anche le insanabili contraddizioni che la paralizzano.
Per quanto riguarda il primo aspetto – il riconoscimento dell’ideologia – è sufficiente osservare come il tentativo di combattere le discriminazioni anzitutto di matrice sessista conduca sempre più spesso al voluto equivoco secondo cui, per contrastare le diseguaglianze fra uomo e donna, occorrerebbe negare alla radice le differenze fra i sessi. Differenze che quindi, nella misura in cui fossero anche solo oggetto di semplici studio ed osservazione, diverrebbero potenziali moventi per trattamenti iniqui.
Si spiegano così
meraviglie come la svedese Egalia, scuola materna di Stoccolma dove già anni or
sono si è pianificata l’abolizione dei sessi coniando persino un pronome
neutro, «hen», in luogo dei vetusti – e verosimilmente ritenuti sessisti –
«hon» e «han», e prescrivendo per i piccoli il dovere di chiamarsi fra loro
«amici», bandendo parole come “bambino” o “bambina”, termini da consegnare al
passato insieme alla differenze sessuali.
Per quanto possa apparire sorprendente e prima che in una panoramica che pure sarebbe agevole fra autori che teorizzano quanto la scuola materna di Stoccolma ha poi messo in pratica, l”inesistente” ideologia gender è tutta qui:
Una liberazione compiuta dall’oppressione impone infatti anche il superamento della prospettiva binaria maschile e femminile attraverso la forgiatura di un’identità sessuale fluida, definita solamente da una individuale e sempre riformabile percezione di sé.
Per quanto possa apparire sorprendente e prima che in una panoramica che pure sarebbe agevole fra autori che teorizzano quanto la scuola materna di Stoccolma ha poi messo in pratica, l”inesistente” ideologia gender è tutta qui:
Nell’ostinata negazione delle difformità attitudinali fra i sessi, da presentare al mondo come vergognose diseguaglianze di genere, laddove il genere – qui sta un passaggio fondamentale – non include la mera possibilità d’essere uomini e donne; non solo.
Una liberazione compiuta dall’oppressione impone infatti anche il superamento della prospettiva binaria maschile e femminile attraverso la forgiatura di un’identità sessuale fluida, definita solamente da una individuale e sempre riformabile percezione di sé.
LE 3 CONTRADDIZIONI DELL'IDEOLOGIA GENDER
Al di là di comprensibili perplessità, questa prospettiva si scontra – lo dicevamo poc’anzi – con molteplici contraddizioni.
Le principali sono essenzialmente tre:
1 Contraddizione
La prima concerne la logica definitoria che il concetto di genere vorrebbe oltrepassare e nella quale, in verità, continuamente ricade. Risulta infatti poco sensato da un lato respingere come limitante la distinzione fra maschi e femmine e poi, dall’altro, accettare che per esempio ci si debba riconoscere in una delle 70 differenti opzioni di genere che Facebook mette a disposizione dei propri utenti.
E se un soggetto si percepisse simultaneamente come appartenente a più generi o avvertisse come proprio un genere non contemplato da alcuna classificazione? Con quali argomenti, se non ricorrendo all’imposizione, si potrebbe chiedergli di definirsi?
Occorre decidersi: o il genere è davvero libero, oppure è solo una volgare parodia di quella distinzione sessuale che si vorrebbe superare. Il problema è che, accettando coerentemente di non poter definire il genere, non solo si archivia il concetto di sesso ma si pensiona anche quello d’identità. Parlare di identità di genere rivela così tutta la sua insostenibile portata ossimorica.
2 Contraddizione
Una seconda
contraddizione dell’ideologia gender emerge in quello che pretende di
denunciare, ossia l’ingerenza ambientale nella genesi della propria identità.
Se finora è esistita una più o meno netta distinzione fra maschile e femminile
– sostiene la prospettiva gender – ciò non è avvenuto in ragione di una natura
maschile o femminile, che sarebbe inesistente, bensì a causa di una data
cultura.
D’accordo, ma se le cose stanno così, se è l’ambiente il responsabile di come ci siamo finora percepiti, com’è possibile non sospettare che sia sempre l’ambiente – e precisamente la cultura occidentale nel 2014 veicolata da università, parlamenti e redazioni, il famoso “Pensiero Unico” –
Anche qui dunque urge intendersi: o le influenze esterne sono sempre negative oppure, se lo sono solo alcune, stiamo ragionando in termini etici; se è così diciamolo, evitando di sbandierare una neutralità di facciata.
D’accordo, ma se le cose stanno così, se è l’ambiente il responsabile di come ci siamo finora percepiti, com’è possibile non sospettare che sia sempre l’ambiente – e precisamente la cultura occidentale nel 2014 veicolata da università, parlamenti e redazioni, il famoso “Pensiero Unico” –
- La vera origine della teoria gender?
- Sulla base di quali elementi, anche senza necessariamente tornare al concetto di natura umana, possiamo con certezza affermare che le imposizioni culturali che si vogliono far uscire dalla porta non rientrino poi dalla finestra con la pedagogia gender?
- Chi e come può garantire totale liberazione da coercizioni esterne?
Anche qui dunque urge intendersi: o le influenze esterne sono sempre negative oppure, se lo sono solo alcune, stiamo ragionando in termini etici; se è così diciamolo, evitando di sbandierare una neutralità di facciata.
3 Contraddizione
L’ultima,
vertiginosa contraddizione della prospettiva gender, strettamente collegata
alla precedente, riguarda il metodo scelto per la nuova educazione contro
qualsivoglia discriminazione: un metodo inevitabilmente a base di cultura,
conferenze, libri, incontri nelle scuole. Un metodo oggi così promosso ma che
domani – questo, in fondo, si augurano gli artefici della nuova educazione –
sarà la stessa famiglia, o quel che ne resterà, a mettere in pratica
organizzando insegnamenti che impediscano ai giovani di credere che esistano
fondamentali, notevoli ed anche arricchenti differenze fra uomo e donna.
Ma in questo modo si soffocherà il fondamentale principio della libertà educativa, andando tragicamente a concretizzare, fra l’altro, quanto lo psichiatra Wilhelm Reich (1897–1957), nel suo Psicologia di massa del fascismo, scriveva della famiglia come realtà organica all’autoritarismo, definendola «la sua fabbrica strutturale ed ideologica».
Cosa che non era e soprattutto non è affatto, considerando la dichiarata ed odierna diffidenza di molte famiglie verso la cultura di genere, ma che purtroppo potrebbe diventare, dando quasi un secolo dopo fondamento ai timori di Reich e a quelli dei non entusiasti di una nuova era gender.
Ma in questo modo si soffocherà il fondamentale principio della libertà educativa, andando tragicamente a concretizzare, fra l’altro, quanto lo psichiatra Wilhelm Reich (1897–1957), nel suo Psicologia di massa del fascismo, scriveva della famiglia come realtà organica all’autoritarismo, definendola «la sua fabbrica strutturale ed ideologica».
Cosa che non era e soprattutto non è affatto, considerando la dichiarata ed odierna diffidenza di molte famiglie verso la cultura di genere, ma che purtroppo potrebbe diventare, dando quasi un secolo dopo fondamento ai timori di Reich e a quelli dei non entusiasti di una nuova era gender.
IDEOLOGIA DI
GENDER E UTOPIA DELL’UGUAGLIANZA.
LA TEORIA DEL
“GENDER” NEGA CHE L’UMANITÀ SIA DIVISA TRA MASCHI E FEMMINE .
Negli ultimi
decenni del XX secolo nei Paesi occidentali abbiamo assistito a una rivoluzione
concettuale fondata su manipolazioni del linguaggio, cioè la sostituzione del
concetto di differenza sessuale con il termine indeterminato gender. In
sostanza, alcuni intellettuali e politici hanno cercato di rendere concreta e
condivisa l’affermazione del famoso libro di Simone de Beauvoir Il secondo
sesso: “Donne non si nasce, ma si diventa”.
Le ragioni che
hanno permesso e favorito il sorgere di questa nuova ideologia sono molte, e di
diversa natura. Da una parte, la caduta del muro di Berlino, a cui è pochi anni
dopo seguita la grave recessione economica mondiale, hanno messo in crisi tutti
gli apparati ideologici che avevano intessuto la vita politica: crollano
infatti tutti i tipi di ideologia comunista e socialista, e poi anche il
liberalismo capitalista.
In questo vuoto, la caccia a nuovi valori con cui giustificare le scelte politiche ha portato a una sorta di divinizzazione dei Diritti umani, che da obiettivo che le società si dovevano porre sono diventati i valori guida indiscutibili, anche se spesso manipolati, subendo un ampliamento e una trasformazione. L’utopia dell’uguaglianza, che aveva animato la lotta politica dell’Ottocento e del Novecento, rinasce in settori prima marginali, come il femminismo, che diventa così una forma ideologica centrale, capace di riempire il vuoto lasciato dal fallimento delle ideologie comuniste.
Per rafforzarsi, il femminismo doveva costituirsi come ideologia utopica che si richiamava all’utopia dell’uguaglianza, e doveva avere una conferma “scientifica”, così come il comunismo di Marx, che si era autodichiarato “socialismo scientifico”.
La teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea, già propria delle ideologie socio-comuniste e fallita miseramente, che l’eguaglianza costituisca la via maestra verso la realizzazione della felicità.
Nel caso della teoria del gender, all’aspetto negativo costituito dalla negazione della differenza sessuale, si accompagnava un aspetto positivo: la totale libertà di scelta individuale, mito fondante della società moderna, che può arrivare anche a cancellare quello che veniva considerato, fino a poco tempo fa, come un dato di costrizione naturale ineludibile.
La teoria del gender comprende quindi un aspetto politico (la realizzazione dell’uguaglianza e la possibilità senza limiti di scelta individuale), un aspetto storico-sociale (la giustificazione a posteriori della fine del ruolo femminile nelle società occidentali) e un aspetto filosofico-antropologico più generale, cioè la definizione di essere umano e il rapporto fra questo e la natura.
L’ideologia del gender è dunque una delle tante derive che ha preso l’utopia dell’uguaglianza. Scrive infatti Michael Walzer:
In questo vuoto, la caccia a nuovi valori con cui giustificare le scelte politiche ha portato a una sorta di divinizzazione dei Diritti umani, che da obiettivo che le società si dovevano porre sono diventati i valori guida indiscutibili, anche se spesso manipolati, subendo un ampliamento e una trasformazione. L’utopia dell’uguaglianza, che aveva animato la lotta politica dell’Ottocento e del Novecento, rinasce in settori prima marginali, come il femminismo, che diventa così una forma ideologica centrale, capace di riempire il vuoto lasciato dal fallimento delle ideologie comuniste.
Per rafforzarsi, il femminismo doveva costituirsi come ideologia utopica che si richiamava all’utopia dell’uguaglianza, e doveva avere una conferma “scientifica”, così come il comunismo di Marx, che si era autodichiarato “socialismo scientifico”.
La teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea, già propria delle ideologie socio-comuniste e fallita miseramente, che l’eguaglianza costituisca la via maestra verso la realizzazione della felicità.
Negare che l’umanità è divisa tra maschi e femmine è sembrato un modo per garantire la più totale e assoluta eguaglianza – e quindi possibilità di felicità – a tutti gli esseri umani.
Nel caso della teoria del gender, all’aspetto negativo costituito dalla negazione della differenza sessuale, si accompagnava un aspetto positivo: la totale libertà di scelta individuale, mito fondante della società moderna, che può arrivare anche a cancellare quello che veniva considerato, fino a poco tempo fa, come un dato di costrizione naturale ineludibile.
La teoria del gender comprende quindi un aspetto politico (la realizzazione dell’uguaglianza e la possibilità senza limiti di scelta individuale), un aspetto storico-sociale (la giustificazione a posteriori della fine del ruolo femminile nelle società occidentali) e un aspetto filosofico-antropologico più generale, cioè la definizione di essere umano e il rapporto fra questo e la natura.
L’ideologia del gender è dunque una delle tante derive che ha preso l’utopia dell’uguaglianza. Scrive infatti Michael Walzer:
“Alla radice, il significato dell’uguaglianza è negativo”, mira a eliminare non tutte le differenze ma un insieme particolare di differenze, che varia secondo l’epoca e il luogo.
La trasformazione
sociale in corso sta muovendosi verso la cancellazione di tutte le differenze –
anche di quella, fondamentale in tutte le culture, fra donne e uomini – con un
ritmo che si è fatto sempre più veloce dopo la diffusione degli
anticoncezionali chimici, negli anni Sessanta. La separazione fra sessualità e
riproduzione, infatti, ha permesso alle donne di adottare un comportamento
sessuale di tipo maschile – che forse non si adatta alla natura femminile, e
dunque probabilmente non contribuisce ad aumentare la felicità delle donne,
anche se questo è un altro discorso – e quindi di svolgere dei ruoli maschili
rimuovendo ogni ostacolo, e cioè abolendo anche la maternità.
La separazione
fra sessualità e procreazione ha provocato una separazione fra procreazione e
matrimonio, e quindi anche fra sessualità e matrimonio: possiamo cogliere qui
le condizioni per l’affermarsi dei “diritti” al matrimonio e al figlio avanzati
dai gruppi omosessuali, e strettamente collegati all’idea di gender, cioè alla
negazione dell’identità sessuale “naturale”.
Come il filosofo
francese Marcel Gauchet ha messo in luce, queste trasformazioni hanno profonde
conseguenze sul piano sociale: se la sessualità smette di essere un problema
collettivo collegato al prolungamento del gruppo umano nel tempo, e diventa un
affare privato ed espressione della propria individualità, ne discende
ovviamente una crisi dell’istituto famigliare e un cambiamento nello statuto
dell’omosessualità. Mentre una volta, infatti, era la famiglia che produceva il
figlio come ovvia conseguenza dell’attività sessuale dei coniugi, oggi sempre
più spesso è il figlio desiderato che crea la famiglia. E può essere
considerata famiglia quella di chiunque desideri un figlio.
Circa cinquanta
anni dopo che la de Beauvoir aveva scritto quella frase, la sua idea sembrava
finalmente trionfare. Se le identità sessuali sono solo costruzioni culturali,
è possibile decostruirle, ed è quello che si propongono di fare movimenti
femministi e omosessuali.
La chiave della
rivoluzione del gender è il linguaggio, come si deduce da qualche ordinamento
giuridico, dove solo cambiando qualche termine – “genitore” invece di “madre” e
“padre”, “parentalità” invece di “famiglia”
Come però ricorda lo studioso Xavier Lacroix, rimane invece indispensabile “riconoscere l’apporto che il carnale dà al simbolico e al relazionale”: capire cioè che l’ancoraggio fisico della paternità in un corpo maschile e della maternità in un corpo femminile costituisce un dato di fatto irriducibile e strutturante che deve essere recepito non solo come un limite, ma come una fonte di significato. Bisogna ammettere che al di là dello spermatozoo o dell’ovulo c’è qualcuno, mentre il concetto di omoparentalità elimina qualunque leggibilità carnale dell’origine.
I diversi sistemi di parentela che esistono al mondo hanno variamente articolato il fisico e il culturale, ma li hanno sempre articolati, perché la sfida centrale della famiglia consiste proprio nel tenere insieme coniugalità e parentalità.
Si è riusciti a cancellare nei documenti la famiglia naturale. Con un’altra operazione artificiosa si sostituiscono “sesso” con “sessualità” e “sessuato” con “sessuale”, per confermare che non conta la realtà, ma solo l’orientamento del desiderio.
Come però ricorda lo studioso Xavier Lacroix, rimane invece indispensabile “riconoscere l’apporto che il carnale dà al simbolico e al relazionale”: capire cioè che l’ancoraggio fisico della paternità in un corpo maschile e della maternità in un corpo femminile costituisce un dato di fatto irriducibile e strutturante che deve essere recepito non solo come un limite, ma come una fonte di significato. Bisogna ammettere che al di là dello spermatozoo o dell’ovulo c’è qualcuno, mentre il concetto di omoparentalità elimina qualunque leggibilità carnale dell’origine.
I diversi sistemi di parentela che esistono al mondo hanno variamente articolato il fisico e il culturale, ma li hanno sempre articolati, perché la sfida centrale della famiglia consiste proprio nel tenere insieme coniugalità e parentalità.
Si tratta quindi
di una vera e propria sfida antropologica al fondamento culturale non solo
della nostra società ma di tutte le società umane, come dimostra la critica
avviata dai teorici del gender (per esempio, dalla filosofa americana Judith
Butler) a Lévi-Strauss e a Freud, colpevoli di avere fondato i loro sistemi di
pensiero sulla differenza sessuale fra donne e uomini. E la demonizzazione di
ogni tipo di differenza non solo si basa su una utopia di uguaglianza proposta
come via maestra verso la felicità – un’utopia che senza dubbio ha le sue
origini proprio in quella socialista che ha mostrato le sue disastrose
realizzazioni nel secolo appena trascorso – ma in questo caso si arriva a un
esito estremo del pensiero decostruzionista, e cioè alla negazione
dell’esistenza della natura stessa.
Se ogni tipo di differenza, sancita da una definizione sociale, è letto come un sistema di potere, sulla scorta di Foucault, si può vedere in ogni superamento di paradigma un momento evolutivo di liberazione, secondo una nuova forma di darwinismo sociale. Le forme più diffuse e più facilmente vivibili di relazioni affettive e sessuali sono così considerate come quelle evolute, che quindi devono imporsi, mentre l'”eterocentrismo” viene considerato un momento della storia dello sviluppo umano ormai non più adatto e da superare.
Se ogni tipo di differenza, sancita da una definizione sociale, è letto come un sistema di potere, sulla scorta di Foucault, si può vedere in ogni superamento di paradigma un momento evolutivo di liberazione, secondo una nuova forma di darwinismo sociale. Le forme più diffuse e più facilmente vivibili di relazioni affettive e sessuali sono così considerate come quelle evolute, che quindi devono imporsi, mentre l'”eterocentrismo” viene considerato un momento della storia dello sviluppo umano ormai non più adatto e da superare.
L’ideologia del
gender è stata recepita con entusiasmo soprattutto dalle organizzazioni
internazionali, perché corrisponde alla politica di allargamento dei diritti
individuali che è considerata il fondamento della libertà democratica: il
problema del genere è stato al centro della battaglia politica nelle conferenze
Onu del Cairo e di Pechino. È una storia poco conosciuta, cioè come – per
esprimersi con le parole dell’Istituto di ricerca per l’avanzamento delle donne
(Instraw)
In sostanza, significa negare che le diversità fra donne e uomini siano naturali, e sostenere invece che sono costruite culturalmente, e quindi possono essere modificate a seconda del desiderio individuale. L’adozione di una “prospettiva di genere” è stata la linea ideologica adottata con forza da alcune delle principali agenzie dell’Onu e dalle Ong che si occupano di controllo demografico, con il sostegno della maggior parte delle femministe dei Paesi occidentali, ma con l’opposizione dei molti gruppi nati a difesa della maternità e della famiglia.
“Adottare una prospettiva di genere significa (…) distinguere tra quello che è naturale e biologico da quello che è costruito socialmente e culturalmente, e nel processo rinegoziare tra il naturale – e la sua relativa inflessibilità – e il sociale, e la sua relativa modificabilità”.
In sostanza, significa negare che le diversità fra donne e uomini siano naturali, e sostenere invece che sono costruite culturalmente, e quindi possono essere modificate a seconda del desiderio individuale. L’adozione di una “prospettiva di genere” è stata la linea ideologica adottata con forza da alcune delle principali agenzie dell’Onu e dalle Ong che si occupano di controllo demografico, con il sostegno della maggior parte delle femministe dei Paesi occidentali, ma con l’opposizione dei molti gruppi nati a difesa della maternità e della famiglia.
Da qui il termine
gender (che è più elegante e neutro di “sesso”) non solo è entrato nel nostro
linguaggio, ma è usato addirittura nella denominazione di un filone di ricerca
accademica – i Gender Studies – spesso però nell’inconsapevolezza del suo
rivoluzionario significato ideologico-culturale. Eppure, come gli studi
scientifici hanno dimostrato e continuano a dimostrare, parlare di identità
maschile e di identità femminile ha senso innanzitutto proprio dal punto di vista
biologico.
Eppure, il principio di uguaglianza non richiede affatto di fingere che tutti siano uguali: solo nella misura in cui l’esistenza della differenza venga effettivamente riconosciuta e considerata, si potrà realmente dare a tutti, allo stesso modo e in pari grado, piena dignità e uguali diritti.
Oltre che infondata, la teoria del gender sottintende una visione politica estremamente pericolosa, facendo credere che la differenza sia sinonimo di discriminazione.
Eppure, il principio di uguaglianza non richiede affatto di fingere che tutti siano uguali: solo nella misura in cui l’esistenza della differenza venga effettivamente riconosciuta e considerata, si potrà realmente dare a tutti, allo stesso modo e in pari grado, piena dignità e uguali diritti.
Nulla di nuovo,
sia chiaro: è da tempo che il diritto e la filosofia vanno ribadendo come
l’autentico significato del principio di uguaglianza risieda non nel
disconoscere le caratteristiche individuali, fingendo un’omogeneità che non
esiste, ma, al contrario, stia proprio nel dare a tutti le stesse opportunità.
Il laico Norberto Bobbio affermava che gli uomini non nascono uguali: è compito
dello Stato metterli in condizione di divenirlo. Come ribadiscono, tra gli
altri, la Chiesa cattolica e parte del femminismo, la vera uguaglianza si verifica
non solo quando soggetti uguali vengono trattati in modo uguale, ma anche
quando soggetti diversi vengono trattati in modo uguale. La parità tra i sessi
non si ottiene certo facendo entrare le donne in una categoria astratta di
individuo (categoria che, tra l’altro, non esiste, essendo tarata sul modello
maschile), ma si raggiunge partendo dal presupposto che la società è composta
da cittadini e da cittadine.
Una critica
radicale dell’ideologia del gender intesa come teoria dell’uguaglianza si è sviluppata
infatti all’interno del femminismo: da una parte, nel femminismo americano si è
cominciato a individuare una diversa etica, maschile e femminile. Ma da altre
intellettuali femministe l’esistenza di una differenza femminile viene negata
anche quando questa differenza è proposta in senso positivo, come moralità
superiore fondata sull’etica della cura, in contrapposizione alla differenza
maschile della giustizia e dei diritti, come ha sostenuto la filosofa Carol
Gilligan. Questa tesi, infatti, è stata sottoposta a una critica serrata da
un’altra filosofa, Joan Tronto, che considera la predisposizione alla cura solo
come una costruzione culturale. Traspare da questa disputa l’ansia di alcune
femministe che, nel tentativo di porre fine alla condizione marginale delle
donne nella società, preferiscono rinnegare la differenza femminile in cambio
di una “neutralità” che sembra loro più rassicurante. Dimenticando – come
scrive Sylvane Agacinscki – che “ciò che fonda la parità è l’universale dualità
del genere umano”, cioè proprio il porre “la differenza sessuale come
differenza universale”.
Questa linea
critica è stata approfondita da Eva Feder Kittay (La cura dell’amore, Vita e
Pensiero, 2010). L’autrice parte da una delle domande chiave del femminismo:
come mai le donne, anche quando hanno ottenuto uguali diritti, non ottengono
una uguaglianza di fatto nella società? Perché l’uguaglianza si è dimostrata
così irraggiungibile per le donne? Kittay risponde dicendo che l’uguaglianza è
possibile solo per le donne che non hanno responsabilità di cura, e forse non è
il tipo di uguaglianza che le donne desiderano. Secondo Kittay si può delineare
una critica dell’ideale di uguaglianza che chiama “critica della dipendenza”.
Tale critica della dipendenza è una critica femminista dell’uguaglianza e
sostiene che la concezione della società vista come associazione di eguali
maschera o occulta ingiuste dipendenze, legate all’infanzia, alla vecchiaia,
alla malattia e alla disabilità. È necessario quindi cercare di chiarire un’idea
di uguaglianza tanto radicale da abbracciare la dipendenza, perché nessuna
cultura estesa oltre una generazione può considerarsi al sicuro dalle esigenze
della dipendenza. La Kittay afferma quindi che l’uguaglianza sarà sempre
formale, o addirittura vacua, finché la prospettiva della differenza non sarà
riconosciuta e incorporata nel tessuto della teoria e della pratica politica,
anche se è ben consapevole della difficoltà di questo, perché l’incontro con la
dipendenza è raramente ben accolto tra coloro che si nutrono di libertà
ideologica, di autosufficienza e di uguaglianza. Con la creazione delle utopie
di uguaglianza e di autonomia individuale, abbiamo costruito delle finzioni che
ci danneggiano, perché fondate su un ideale che presuppone indipendenza, ben
lontano dalla realtà. Le donne sanno ormai, sostiene Kittay, che la neutralità
di genere non farà che perpetuare quelle differenze che sono già in gioco. Se,
d’altra parte, mettiamo in evidenza la differenza, corriamo il rischio di
ridurre le donne a mere vittime.
È nota la
posizione della Chiesa rispetto a questo tema, ben chiarita dalla Lettera ai
vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’Uomo e della Donna
nella Chiesa e nel mondo dell’allora cardinale Ratzinger. È interessante però
ritrovare elementi di questa polemica contro il gender anche in molte
femministe laiche, che contribuiscono alla creazione di una opinione pubblica
critica nei confronti dell’introduzione di questo termine nei testi pubblici e
delle leggi che ne derivano. Ci sono inoltre delle contraddizioni interne alla
società contemporanea che rendono difficile una vera applicazione della teoria
del gender, contro cui si scontrano anche gli organismi internazionali. Come
segnala Giulia Galeotti (Gender Genere, Viverein, 2010), infatti, i nodi
irrisolti sono almeno tre: in primo luogo oggi si assiste a un incremento di
femminilità e mascolinità nelle donne e negli uomini occidentali, anche nel
vestire prevalgono di meno i soggetti indistinti; in secondo luogo la scarsa presenza
femminile in Parlamento. La volontà di dividere il potere fra uomini e donne
può essere legittima solo se si ammette che il sesso non è un tratto sociale ma
un tratto differenziato universale; infine la questione dell’aborto, in cui le
legislazioni stabiliscono che solo la donna decide. Ma, se è così, allora le
donne esistono!
Mondo Sporco
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Per una eventuale pubblicazione del presente articolo su altre pagine si prega di citare la nostra fonte e soprattutto di non modificare il titolo. Grazie
Ogni tentativo di rispondere all'illogico... nonfa altro che nutrirlo... rendendoci illogici. Questi Gender si combattono solo coll'Istinto... Sessuale. E se una lesbica viene attratta dalla parte femminile di un uomo Gay, allora può essere che il Gayman venga attratto dalla parte maschile della lesbic woman... e così finiscono a letto insieme... e trinfa la Natura !
RispondiElimina(anche se magari lui lo chiamiamo Lei e lei la chiamiamo lui... ma ciò spesso avviene anche nelle naturali famiglie eterosessuali, seppur inconsciamente...)